Barabba lo sapeva benissimo

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Per introdurre la sezione riguardante la Psicologia dello Sport, credo sia indispensabile partire da un assunto di base: pisciare fuori dal vaso è sempre sbagliato.  E lo dico con cognizione di causa.
Anche perché, io domani mattina potrei svegliarmi di buonora e mettermi a fare il medico oppure il santone indiano. E qualche ora dopo, giustamente, mi becco una denuncia sacrosanta.
Lo dico non solo perché è giusto che succeda, ma soprattutto perché sarebbe un peccato dare per scontato quello che le Leggi disciplinano, nel pieno rispetto dei ruoli e delle competenze.
Non ho nessuna voglia di fare distinzioni tra le figure professionali perché internet è inflazionata in merito, e soprattutto perché l’abuso di professione rimane comunemente impunito nel disinteresse generale e nel disappunto di pochi colleghi spesso svalutati e sicuramente arrabbiatissimi.
Devo, però, rendere giustizia a un iter formativo specifico che permette ai professionisti di occuparsi di psicologia dello sport, e di conseguenza, di salute mentale.
Laurea Triennale. Laurea Magistrale. Iscrizione all’Albo Professionale. Apertura della Partita IVA (dettaglio di non poca importanza). Iscrizione alla Cassa Previdenziale. Master In Psicologia dello Sport. Scuola di Specializzazione in Psicoterapia. E ancora Corsi di Alta Formazione sport-specifici.
Nell’epoca in cui tutti sanno tutto dall’alto di un corso di poche ore qualunque, il rischio di affidarsi all’improvvisazione è senza dubbio elevatissimo. Magari ti va pure bene, però, la spasmodica ricerca di soluzioni condurrà inevitabilmente a una superficialità mediocre che fin dai tempi di Barabba paga subito e termina presto. Il popolo, infatti, preso dalle sue vicissitudini, non ha mai avuto tempo da perdere.
Al massimo, quando la patata è bollente, chiamano per una situazione grave e urgente, dove salvare capre e cavoli, rimane l’unico modo per limitare danni organizzativi, relazionali e di altro genere.
E noi lì, con noi stessi, a chiederci se il protocollo è giusto o sbagliato o ancora peggio a valutare interventi che possano portarci direttamente in campo al posto degli atleti. E con i colleghi, a raccontarci chi piscia più lontano sperando di farla nel vaso giusto e che nessuno la faccia nel nostro vaso costruito negli anni universitari e post universitari, dove la formazione specifica e continua fondata su un piano etico rimane un baluardo da difendere e tutelare. Perché giustamente è così.
 
La giungla, invece, si dimostra una marchetta. E ci sta, altrimenti che giungla è? E’ il mercato, ed è fatto così.
E allora da autodidatti dotati di superpoteri, traumi irrisolti e licenze inferiori di ogni genere, si fa strada l’esercito degli esperti di aspetti mentali nello sport. Un esercito fortissimo e cazzuto, con la colonna sonora di Rocky nella playlist, un repertorio vastissimo di frasi motivazionali e un mindset testato personalmente.
Una meraviglia che mette al centro dell’universo gli aspetti mentali nello sport come nuova frontiera da conquistare. E riescono spesso nella loro intenzione di convincimento, perché il potere della mente è grande. Poi magari portano anche lo sponsor o il figlio di fascia A+++ come gli elettrodomestici, e sbrigano faccende varie che a una società sportiva di ogni livello fanno sempre comodo.
E poi sono simpatici anziché grigi, perché basta un sorriso al Direttore o al Presidente di turno per creare un ambiente di lavoro sereno, sano, adeguato. Basta una tuta e una passeggiata nel paddock delle strutture sportive per scatenare l’indole aziendalista a titolo apparentemente gratuito.

In pratica, la psicologia sociale, del lavoro, delle comunità, delle organizzazioni, della salute e dello sport spazzata via e volentieri. Spazzata con dei”Credi nelle tue potenzialità” o con un “I bimbi stanno bene?”.
Ancora peggio se siamo noi, come categoria professionale riconosciuta con tanto di Albo Professionale, a essere così superficiali e mediocri. Perché con la stessa moneta siamo ricambiati da chi ci bolla come coloro che si occupano di frasi motivazionali senza conoscere nulla di metodologie di allenamento.

Insomma, dobbiamo scegliere da che parte stare. Questa è la nostra gara evolutiva e assume i tratti di una vera e propria crociata. Perché senza una presa di posizione ci meritiamo Barabba.
E le prese di posizione non conoscono mediazioni, tantomeno collaborazioni per lavorare sul profondo.
Le prese di posizione battono i pugni sul tavolo e vanno a fondo con una base scientifica capace di fornire evidenze ma soprattutto di aggiungere quel valore che è riconosciuto da anni da tanti addetti ai lavori.
La tanto discussa ottica multidisciplinare deve vederci protagonisti della nostra area di allenamento, perché l’epoca della tuttologia centrata sull’ego è fallita e sepolta da diverso tempo nonostante sacche di resistenza sparse sul territorio.

- “Ma io ho giocato in Turkmenistan e ne so. Tu dove hai giocato?”
- “Io ho studiato. Che cosa posso fare per Lei?”
- “Io voglio vincere. Mi fai vincere?!”
…Eccetera, eccetera.


Le nostre prese di posizione devono essere il nostro primo bigliettino da visita, il nostro esercizio di decision making, il nostro principale manuale di neuroscienze applicate allo sport.
Tutto questo deve orientarci verso una semina continua di cultura sportiva, consapevoli che la gramigna esiste ed è giusto trovarla per distinguerla e separarla, dove il piano etico sul quale il nostro lavoro deve fondarsi ha bisogno di cure continue.
E se è vero che la ragione non urla, posso dire di averlo vissuto sulla mia pelle.
Mi rincuora solamente il fatto che le stesse difficoltà siano comuni in ogni angolo della penisola.

La presenza fissa degli psicologi sportivi all’interno dello staff, in piena armonia metodologica con le altre aree di allenamento dev’essere semplicemente la normalità. E con la tuta di allenamento, perché dovrà avere una sua stazione di allenamento, perché scegliere di migliorarsi passa inevitabilmente dagli aspetti mentali da allenare attraverso il gioco nei suoi aspetti emotivi, cognitivi, sociali.
Significa entrare, dunque, in pianta stabile nell’area metodologica ed essere necessariamente anche dei tecnici abilitati. A ogni livello, in ogni sport. E non come una bomboniera impolverata da esporre in un ufficio grigio quando le cose vanno male ma soprattutto lontano dalla realtà.
Il nostro limite spesso è stato questo, forse per mancanza di formazione specifica, permettendo ai Barabba’s di turno di farsi strada in questo chiaroscuro capace di generare mostri di ogni tipo.
Poi va bene, gli errori fanno parte del processo di apprendimento e magari ci insegnano a decidere.
E noi siamo lì con le nostre competenze cliniche ad aggiungere valore, ma questa, è un’altra storia.

Attenzione: nessuna forma di delirio di onnipotenza, ci mancherebbe.
Le crocifissioni le lasciamo fuori da quest’articolo, ma la metafora deve arrivare chiara e precisa.
Abbiamo il diritto di urlarlo.

Il tempo fornisce risposte quasi sempre adeguate. Lo sappiamo benissimo.
E’ solo questione di tempo.

 


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