Le idee semplici non sono mai sbagliate. E quando la ricerca di libertà diventa un obiettivo vitale ed imprescindibile, devi scegliere da che parte stare. E’ una questione di atteggiamento, indispensabile per impegnarsi a distinguersi, capace di determinare il proprio modus operandi.
Ho provato ad immaginarmi come un gruppo musicale costretto a produrre e vendere dischi ogni anno, per ogni stagione, per ogni gusto, per ogni tendenza. Il rischio grosso è quello di finire per essere inglobato in un meccanismo deumanizzante che assume i toni della deindividuazione, dove l’appiattimento generalizzato è l’unica alternativa possibile ed il cortisolo l’unico ormone prodotto. Insomma, non avevo più voglia di preparare grafiche e reel per qualche visualizzazione in più. Certamente l’ho fatto volentieri per tanto tempo e con discreti risultati, in primis quello di farmi conoscere e di rompere il ghiaccio con schermi, giudizi, pareri divergenti. E magari continuerò a farlo perché parte del gioco, ma sicuramente in forma diversa anziché da aspirante influencer perché non devo influenzare niente e nessuno.
Non mi divertivo più e sentivo di dover cambiare rotta per alzare la mia personalissima asticella.
Mi sono chiesto come dare dignità ad un tema complesso in novanta secondi di video che non vede nessuno. Ma soprattutto, mi sono chiesto per quale ragione dover essere schiavi di questo sadico meccanismo.
Ed allora mi sono ricordato di quanto mi piaceva scrivere prima dell’esplosione dei social nei blog di MSN e sulle agende universitarie, tra licenze sgrammaticate ed errori di ogni tipo. Conservo volentieri quelle riflessioni ancora oggi, consapevole di custodire una sorta di enciclopedia personale dove poter ritrovare dubbi e nodi da sciogliere.
E chi se ne frega della forma, perché conta sentirsi liberi di esprimersi e dire la propria su quello che in punta di piedi ci compete, appartiene, appassiona. Infatti, con le idee semplici, anche dare voce a se stessi non è mai un errore perché insegna il valore della responsabilità e del rispetto verso la propria persona.
Quella di un sito personale è un’idea pensata e immaginata da tempo, dove gli esperimenti di libertà possono trovare un canale semplice e preciso. Forse anche una scelta controcorrente, perché in una società velocissima che fa i conti con la sua liquidità evaporata non legge più nessuno.
Qualcuno lo definirebbe un salto di qualità per il proprio modello di businness, perché indispensabile per permettere al proprio marchio di avere maggiore visibilità verso nuovi e potenziali clienti.
La jungla è fatta così, lo sappiamo tutti, benissimo.
Per questa ragione è giusto ribadire che di tutte queste storie non me ne frega un cazzo.
Ed è quello che educatamente indico alle diverse piattaforme leader di ogni settore, perché gli psicologi non vendono e non devono vendere nulla. Altrimenti avrei fatto altro, e lo dico senza paura perché un contadino se la cava sempre e comunque in nome delle proprie radici e della cultura del lavoro che deve sempre costituire la propria stella polare di riferimento. Ci si può occupare di psychè solo in questo modo.
Nella sezione “Chi Sono”, infatti, non ho avuto problemi a definirmi scomodo: essere un po’ estranei alla massa è sempre stata una volontà personale e precisa che mi ha sempre caratterizzato.
E sono le stesse scomodità in direzione spesso ostinata e contraria che mi hanno reso spesso rigido oltre ogni forma di coerenza ad oltranza. Concetto di ostinazione verso il proprio desiderio che mi impegno a trasmettere ogni volta a chi sceglie di salire le scale che portano nella stanza d’analisi.
Una stanza rigorosamente azzurra, simile ad un acquario, in cui sentirsi semplicemente liberi di “nuotare” ed autorizzarsi a farlo, dove le regole del gioco sono e devono essere semplici e pronte ad andare oltre ogni stramaledetto protocollo freddo da seguire. Come ci sarebbe cura, altrimenti?
E lo stesso vale per gli atleti che ho avuto il piacere di incontrare su prati, parquet e pedane in questi primi dieci anni di libera professione fatti di tanta perseveranza e bocconi amari e umilianti da digerire.
Una cosa è certa: finora ho retto l’urto di tante cose, compreso quello del vomito verso chi e cosa non mi piaceva assolutamente.
Ed ho imparato che liberare e scaricare sono due verbi tanto simili quanto diversi tra loro, perché abbiamo il dovere di rendere funzionale quello che viviamo.
Lo dobbiamo a noi stessi, alle nostre vicissitudini, alla nostra quotidianità. Il benessere psicofisico, sintomo di salute mentale dev'essere questo.
Un sito personale è dunque una sfida. A 36 anni scelgo di farla in punta di piedi e con il cappello in mano, servendomi d quello che sento dentro di me, integrando persona e professione.
Spero di esserne all’altezza. E di avere un motivo in più per fare quello che mi piace senza farmi sopraffare dagli eventi e dalle agende, augurandomi di essere fedele alle mie personali linee.
Buon cammino!






